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In This Issue:
Lodovico Berra
Psichiatra, Psicoterapeuta, Docente Universitario, Direttore SSCF & ISFiPP
www.lodovicoberra.it
Le età della vita
Prof. Lodovico Berra
Rivista di Filosofia e Psicoterapia esistenziale
Dipartimento di Psicologia, Psicopatologia e Psicoterapia
Istituto Superiore di Filosofia, Psicologia, Psichiatria ISFiPP
Dasein n°8, Aprile, 2019
Le età della vita, Prof. Lodovico Berra, Dasein Journal 8, p. 5-15 , Scarica Articolo PDF
Premessa
Siamo soliti suddividere la nostra vita in fasi, caratterizzate da aspetti psicologici, biologici e sociali che le contraddistinguono e le differenziano. È difficile per noi riuscire a vedere la vita nella sua globalità, come un tutt’uno che viene a definire la nostra storia e la nostra identità. Abbiamo bisogno di scomporre e riordinare elementi perché diventino per noi comprensibili. Così accade che la nostra vita appaia come la somma di età che si succedono l’una con l’altra.
Capita poi che la prospettiva di osservazione della nostra vita muti a seconda dell’età. L’adolescente e il giovane vedono un futuro infinito; nell’età adulta e nella maturità inizia ad esserci un passato consistente e si concretizza il limite del futuro; nell’anziano si espande il passato e si contrae il futuro, con la sempre maggiore consapevolezza del termine della vita.
In realtà sarebbe per noi necessario riuscire a cogliere la nostra esistenza con uno sguardo ampio ed unico, dall’inizio alla fine, dalla nascita alla morte. Solo questa visione totale ci può dare il reale significato della nostra esistenza.
Non scegliamo di nascere, siamo gettati in questo mondo e ci ritroviamo in un mare di possibilità, più o meno realizzabili, che definiscono la direzione della nostra esistenza. Così come non decidiamo di nascere, non possiamo scegliere di non morire. La morte è il limite insuperabile della nostra esistenza, è il confine che configura le caratteristiche della nostra esistenza.
Senza morte la nostra vita avrebbe forma diversa e se spesso immaginiamo l’immortalità come una salvezza, in realtà è proprio per merito di questo limite che la nostra vita ha valore.
In questo tentativo di intendere la vita nella sua totalità, le varie età divengono come un continuum indivisibile, in cui la nostra evoluzione progressiva si manifesta con la sovrapposizione e mescolanza delle fasi. Le fasi sarebbero quindi un artificio, un tentativo di riordinamento, di organizzazione di un flusso continuo tra nascita e morte.
Vi è in noi un nucleo centrale che permette di riconoscerci, anche se tratti del nostro viso e del nostro corpo mutano. La nostra identità, e quindi la nostra storia, si costituisce gradualmente, plasmando il nostro essere, facendolo evolvere, trasformandolo in modo continuo, costante ed inevitabile. Siamo esseri dinamici in continuo mutamento, sempre uguali e sempre diversi.
Ogni età è provvisoria e di veramente stabile c'è solo il cambiamento.
Non possiamo essere, esistere, senza divenire, mutare giorno dopo giorno.
Ogni giorno dentro di noi alcune cellule muoiono (come quelle del sangue e della pelle) mentre altre, come le cellule cerebrali, ci accompagnano probabilmente per tutta la vita. Vi è quindi una sorta di equilibrio dinamico, una omeostasi che tende ad armonizzare gli elementi, creando questa miscela di elementi che costituiscono la nostra persona, in continua trasformazione.
Rimane comunque per noi utile vedere lo scorrere della nostra vita come una successione di fasi, che in un secondo momento potrà aiutarci a cogliere con uno sguardo totale l’intera nostra esistenza. Vi è anche da precisare che ogni generalizzazione sulle fasi della vita rimane una forzatura ed un artificio, poiché infinite sono le varianti personali.
La fase prenatale e la prima infanzia
In genere la prima fase della vita che viene considerata è quella che parte dalla nascita, vale a dire dal momento del parto. In realtà vi è tutto un periodo, abbastanza importante e delicato, che precede il parto, e che si sviluppa nella vita intrauterina. È la fase prenatale, di cui non vi è consapevolezza o ricordo, che consiste in una serie di avvenimenti biologici, ma anche psichici, spesso sottovalutati. Non possiamo dire quando inizi veramente la vita psichica, poiché la nostra mente si organizza gradualmente e progressivamente a partire da un momento imprecisabile della evoluzione biologica del nostro cervello. Infatti il sistema neurologico comincia a strutturarsi abbastanza precocemente nel periodo prenatale e già a 5 settimane dal concepimento si formano miliardi di neuroni che progressivamente si organizzano e si connettono tra loro. Le sinapsi (i collegamenti tra neuroni) si formano in base a codici genetici ma anche secondo l’attività fetale, ed esperienze intrauterine possono già influenzare la conformazione dei circuiti cerebrali e quindi il loro funzionamento. Le prime tappe embriologiche nello sviluppo del sistema neurologico creano la base anatomica e funzionale della futura vita psichica.
La nascita della vita mentale precede perciò la nascita, intesa normalmente nel momento del parto. Quest’ultimo è certamente un momento importante e segna il passaggio dalla vita intrauterina al mondo esterno. La vita prenatale è una graduale entrata nel mondo poiché le sensazioni iniziano in modo progressivo, in concomitanza con lo svilupparsi neurologico degli organi sensoriali. Il feto comincia ad avere sensazioni, a udire, a sentire il proprio corpo e quello della madre in modo graduale e attutito. Nel momento del parto vi è come una esplosione di sensazioni: luce intensa, rumori forti, contatti a volte violenti (lo schiaffetto che induce il pianto).
L’entrata nel mondo esterno può essere in effetti, come sosteneva lo psicoanalista Otto Rank, una esperienza traumatica e rende bene la locuzione coniata da Heidegger di “essere-gettato”. Il neonato è gettato, diremmo catapultato, nel mondo esterno in modo brusco, improvviso, brutale. Questo in considerazione di un parto naturale e senza imprevisti. Immaginiamo il caso di complicazioni quali parto podalico, cordone ombelicale intorno al collo, trazioni da forcipe, ecc. che rendono ancora più complicato e traumatico questo evento. Certamente quindi il parto è un primo momento critico nella nostra vita, di cui non abbiamo memoria consapevole, ma che rimane nella nostra psiche come un evento significativo.
[...]La fase adolescenziale e la giovinezza
La fase adolescenziale (dai 12 ai 18 anni) rappresenta un importante momento della vita, in cui avvengono profondi cambiamenti a differenti livelli (ormonale, psicologico, sociale) che richiedono buone capacità di adattamento. Si modifica in modo più evidente la propria immagine corporea, con sviluppo dei caratteri sessuali, ed avvengono rilevanti mutamenti a livello psichico. La personalità inizia a definirsi, mantenendo però una certa instabilità, che può riflettersi in comportamenti a volte eccessivi. Questo può avere la sua base in una non ancora completa maturazione dei lobi frontali, che rende l’adolescente più emotivo, passionale, a volte incontrollato nei suoi comportamenti.
Ad un livello sociale, il cambiamento psicofisico comporta il relazionarsi in modo diverso nei confronti dei coetanei, dei familiari, delle figure di riferimento e degli ambienti sociali in genere.
Il riassestamento degli equilibri ormonali comporta una vera trasformazione a livello corporeo, con naturali ripercussioni nell’ambiente circostante.
Per i cambiamenti fisici, psichici e sociali l’adolescenza è considerata una tipica età di crisi, che termina all’inizio del periodo detto della giovinezza.
Durante questa fase (fino ai 35 anni) si osserva un consolidamento fisico, psichico e sociale, e si definisce in modo più preciso la propria identità sociale e lavorativa. L’entrata nel mondo del lavoro consente di conquistare una maggiore autonomia, oltre a definire il proprio ruolo sociale e familiare. Spesso questa fase coincide con la nascita di figli e l’inizio della genitorialità.
L’età adulta e la vecchiaia
Alla fase della giovinezza segue, o si sovrappone, quella della prima età adulta, intorno ai 40 anni, seguita dalla seconda fase adulta, che si estende fino ai 65 anni. Questo periodo è anche detto della maturità, poiché si stabilizzano aspetti lavorativi, familiari e sociali. Le esperienze acquisite consentono una maggiore capacità di gestione di sé e dei problemi della vita quotidiana, anche se i cambiamenti a livello fisico e psichico vengono a preludere alla fase successiva dell’invecchiamento. Per questo, non raramente, l’età della maturità può essere una età di crisi, in cui si fa un bilancio della propria vita e si prende consapevolezza del tempo passato e di quello ancora a disposizione.
A partire dai 65 anni inizia una nuova e particolare fase della vita, spesso sottovalutata o condizionata da pregiudizi: la fase della vecchiaia
Essa può essere suddivisa in tre momenti successivi, oggi definiti terza (65-75 a.), quarta (75-90 a.) e quinta età (oltre i 90 a.).
Le misure di prevenzione, l’alimentazione, le moderne terapie mediche hanno reso oggi la terza età una fase di seconda giovinezza, tanto da farla definire Old green age.
La mantenuta efficienza psicofisica, la maturità intellettuale, la maggior sicurezza economica, la presenza di prospettive lavorative, sociali, relazionali ed affettive ancora possibili rendono questa fase potenzialmente ricca di vita. È evidente che ciò dipende molto dalla personalità del soggetto, ma anche dal suo atteggiamento mentale di fronte alla vita: chiuso e rassegnato alla vita che si conclude, oppure aperto e disponibile alle possibilità che ancora si presentano.
Spesso la nostra cultura vede la terza età, che facilmente coincide con il momento del pensionamento, come una fase finale di chiusura dell’esistenza: il lavoro che non c’è più, il ruolo sociale svanito, i figli ormai indipendenti, malattie presenti o incombenti, il corpo in deterioramento, la mente sempre più inefficiente, e così via.
Questa visione è spesso una sorta di pregiudizio nei confronti della prima vecchiaia, che in qualche modo condiziona ed accelera il processo di invecchiamento. È infatti necessario rivalorizzare questa fase che non necessariamente rappresenta l’“inizio della conclusione della vita”.
Ancora molte cose possono essere realizzate, anche se certo in modalità rinnovate e differenti rispetto a quelle proprie della giovinezza.
Un piccolo essere umano
Soffermarsi sulla successione in fasi della nostra vita ci aiuta a riflettere e a prendere consapevolezza dell’essenza della nostra esistenza, della trasformazione continua del nostro essere, che mantiene fermo il nucleo centrale della nostra identità. Questo nucleo si trasforma, cambia, ma nello stesso tempo rimane identico, costante riferimento. Noi siamo un aggregato di cellule che prendono forma e danno vita all’essere umano che noi siamo. Questo essere ha una coscienza, la consapevolezza di esistere. L’esistenza del singolo individuo ha un inizio ed una fine, una nascita ed una morte, e non potrebbe essere altrimenti.
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